giovedì 29 gennaio 2015

ITALIANO MEDIO - IMMENSO CAPATONDA



Questo pomeriggio sono andata al cinema a guardare un film che vale assolutamente tutti i soldi del biglietto, fino all’ultimo centesimo. Vale anche i 3,00 euro per l’acquisto del pacchetto di patatine e l’euroevventi della bottiglietta d’acqua. Sto OVVIAMENTE parlando di “Italiano Medio”, il primo (e spero non l’ultimo) film targato Maccio Capatonda.
Non che avessi chissà quanti dubbi sulla riuscita dello stesso, visto che Marcello Macchia (aka Maccio) è dotato di così tanto talento che riuscirebbe a far ridere persino una vedova al funerale del proprio marito.
Il film è un prodotto a mio parere davvero ben confezionato, inaspettatamente per nulla banale, un film che non solo fa il suo dovere, ovvero quello di far ridere gli spettatori fino al collasso, ma fa anche riflettere sui soggetti che compongono la società nella quale viviamo.
Italiano Medio ci sbatte in faccia la cruda realtà, senza mezzi termini, porgendola però in modo ironico, a volte demenziale ma mai insulso o monotono:
è la storia di Giulio Verme, un uomo ossessionato dal viver sano, che dopo aver ingurgitato una pillola che a detta dell’amico Alfonzo (si, esattamente con la Z) porta il consumatore ad utilizzare solo il 2% del cervello, diviene un vero italiano medio.
L’uomo inizia a fare baldoria tutto il giorno, a pensare solo al sesso ed ai reality show, a desiderare di diventare un vip ed a mostrare totale menefreghismo nei confronti di tutto ciò che in realtà dovrebbe avere una certa importanza. Non è raro, durante la visione del film, fermarsi a pensare davanti alle scene che ci vengono proposte: prendiamo ad esempio la scena in autobus, dove il signor Giulio (ancora non sotto effetto della fantomatica pillola) sta leggendo un giornale, mentre gli altri passeggeri, tutti impegnati a giocherellare con il proprio smartphone, non badano minimamente al malore di un’anziana signora a bordo e, quando Giulio glielo fa notare, tutti la fotografano o addirittura ci si scattano dei selfie. E’ proprio in scene come questa che ci si riconosce nell’italiano medio di Capatonda, che va poi anche a trattare le diverse categorie di persone che si mescolano nell’odierna società: ecologisti, famelici grandi imprenditori, politici, genitori incuranti ed in generale idioti pieni di sé.
Italiano Medio fa ammazzare dal ridere, è vero, ma è anche una pellicola intrisa di significato che sfata il mito del film comico senza criterio e che, anche se nella seconda parte si perde in qualche piccola scena che strappa uno o due sbadigli allo spettatore, va poi a riprendersi l’iniziale ritmo spassoso ed incalzante con situazioni a dir poco esilaranti.
Uno dei pericoli più comuni che si rischia di correre quando si crea un film comico, è quello di far diventare il lungometraggio un indecente insieme di scenette montate senza un filo logico, ma in “Italiano Medio” questo non accade: la sceneggiatura è validissima, la regia impeccabile, gli attori immensi, che altro dire? Non si poteva desiderare di meglio da uno come Marcello Macchia, non ho mai e dico mai avuto alcun dubbio sul fatto che mi sarei divertita così tanto.
Guardate che poi questo non è mica un film per tutti, eh. In sala c’era davvero pochissima gente, nonostante il film fosse appena uscito. Da questo insieme di scene assurde ed al limite del surreale, emerge un sarcasmo così ingegnoso che non tutti sono in grado di capire, soprattutto perché buon parte degli italiani corrisponde alla descrizione dell’italiano medio che ci propone Capatonda.
Insomma, il film si merita un 8 pieno poichè insieme al suo team il nostro caro Maccio è riuscito a creare qualcosa di divertente che enfatizza quello che è il personaggio che risiede in ognuno di noi: in fondo non siamo un po’ tutti degli italiani medi?
Buona visione :-) 



venerdì 23 gennaio 2015

OUIJA - SPAVENTOSAMENTE BRUTTO



Ma stiamo scherzando? Dico: ma l'avete guardato questo "film"?
Io vi giuro che "Ouija" è uno dei film peggiori che abbia mai avuto la sfortuna di guardare, una cagata colossale.
Gli avevo dato fiducia perché dal produttore di "Insidious" non mi sarei mai e poi aspettata una schifezza di tale portata. Beh, mi sbagliavo, è che non avevo ancora dato un'occhiata al nome del regista. Signori e signore, stiamo parlando nientepopodimenoche STILES WHITE, colui che ha diretto uno dei film più merdosi nella storia degli horror: "Boogeyman". Già, avete capito bene, quello del tale che ha paura dell'uomo nero nell'armadio.
Ragazzi, vi dico che questa volta si è superato, ha creato qualcosa di mostruosamente indecente. Un po' fa il suo dovere però! Deve far paura? La fa. Ouija fa paura per quanto fa schifo, ve lo assicuro.
Eppure l'inizio non mi aveva dato una bruttissima impressione, anzi, probabilmente è l'unica cosa appena passabile del film, un inizio abbastanza piacevole che ti fa credere di vedere un bel film. Invece continuo imperterrita a dire che fa cagare. Lo consiglio in periodi di stitichezza ostinata, funziona.
Ecco l'incipit: ci sono due ragazzette piccine picciò che si divertono a giocare con la tavoletta Ouija, facendo finta di parlare con i defunti. La tavola ha tre regole: 
non giocare mai da soli, non giocare in un cimitero e salutare sempre, ma una delle due ragazze, Debbie, una volta cresciuta ci "gioca" da sola e muore impiccata. La sua migliore amica, Lane, non riesce ad accettare la morte di Debbie e viene tartassata da un dubbio: la sua amica è morta suicida o è stata uccisa?Perfetto. Ora, facciamoci due domande: cosa dovrebbe fare un horror davvero degno di tale appellativo? Dovrebbe forse far cagare sotto no? Ecco, il regista di Ouija non è proprio riuscito nell'intento, ma manco per scherzo. Anzi, sembra non ci abbia neppure voluto provare.
Questa è una pellicola comica, è indecente a partire dagli effetti speciali alla regia, 'sto film andrebbe CENSURATO. E' un insulto al genere horror, è prevedibile, tedioso, inutile, ridicolo ecc..
Io non so più come definirlo.
NON GUARDATELO. NON APRITE QUELLO STREAMING. Non ne vale assolutamente la pena. Certo che ci vuole coraggio a sfornare certe porcherie.

LA TEORIA DEL TUTTO - BERSAGLIO MANCATO



Mi sono tanto prodigata per riuscire a trovare un link dove poter finalmente guardare questo film, soprattutto dopo aver letto i millemila commenti positivi su questa pellicola che ho tanto sperato fosse un capolavoro, ma che si è ahimè rivelata completamente l’opposto.
Allora, partiamo dal presupposto che il film non è orribile, ma se devo dargli un voto da 0 a 10, non si merita più di un 5 e mezzo.
L’inizio è tanto coinvolgente quanto scontato: è una storia ispirata alla vita del fisico e cosmologo Stephen Hawking, noto per i suoi studi sui buchi neri e sull’origine dell’universo. Siamo quindi negli anni ’60, dove il giovanissimo Stephen e la dolce Jane si incontrano ad una festa e si innamorano. Fino a qui niente di pazzesco, ma la storia per un po’ prosegue in maniera scorrevole e per certi versi anche piacevole, con dialoghi ben strutturati ed una sana dose di timidezza che fa capolino dagli sguardi dei due protagonisti. Devo ammettere che l’inizio della loro storia è obbiettivamente quella che credevo una bella cornice, fatta di tenerezza e sentimentalismo, se poi vogliamo parlare anche di Felicity Jones con quei suoi occhietti da bambolina, andrei avanti per ore dicendo quanto sia bella e deliziosa come poche sanno essere.
Ora: i due si mettono insieme, lui scopre di avere una brutta malattia (praticamente una sorta di SLA) e che gli restano appena due anni di vita, si sposano, fanno dei figli e lui finisce in sedia a rotelle ALLA VELOCITA’ DELLA LUCE. Insomma, niente di diverso da “I passi dell’amore”, in più c’è solo la sedia a rotelle ed i figli.
Non c’è pathos, non c’è assolutamente nulla. Il regista non ti da neppure il tempo di commuoverti, perché succede tutto troppo in fretta. Io sono una persona estremamente emotiva e sensibile, tant'è che mi aspettavo di versare fiumi di lacrime con una storia del genere, invece non ho MAI pianto, cosa che invece è accaduta con “I passi dell’amore”, che nonostante sia una pellicola scontata e non abbia gli eccellenti attori di “The teory of everything”, mi ha fatto consumare interi pacchi di fazzolettini. E’ incredibile non riuscire ad emozionarsi nell'assistere al dolore di un uomo mangiato dalla malattia, ma soprattutto il dolore di una donna che sceglie di sacrificare la sua intera vita per la persona che ama e si fa in quattro per riuscire a dargli tutto ciò di cui ha bisogno, fino al momento in cui si evince chiaramente che è depressa e troppo stanca per andare avanti ma… niente. Non mi sono commossa.
La trama non contiene niente di originale: se non fosse per la bravura dell’attore protagonista, che è veramente mostruoso, questo film sarebbe assolutamente da cestinare. Ma non tanto per la mancata originalità, anche perché nel raccontare una vicenda del genere non si può stravolgere il corso degli eventi così come si sono verificati, non ci si può certo aspettare l’arrivo degli alieni che bombardano il pianeta terra con i loro super raggi laser. Solo che il registra avrebbe potuto rendere questa storia un pelino più avvincente, tutto qua.
Il problema è che La Teoria del tutto è un film che parte bene ma che poi, nella seconda parte, degenera fino a diventare noioso e sterile, cosa che non mi va proprio giù, perché con qualche accorgimento poteva uscirne davvero un bel film, ma si sa: quando si tratta di lungometraggi biografici bisogna veramente saperci fare, altrimenti si rischia di “flopare”.
Il regista è stato comunque abilissimo nel delineare la condizione fisica di Stephen, mostrandoci talvolta delle scene molto pungenti per quanto verosimili, ma anche qui dobbiamo molto alle grandi doti recitative di Redmayne.
Marsh cerca di commuovere lo spettatore in maniera disperata, solo che non ci riesce: il tutto è, a mio avviso, troppo tradizionale e semplice per solleticare l’interesse dello spettatore. Non è corretto oltretutto dire che questo è un film incentrato sulla vita del fisico Hawking, poiché la sua vita non è fatta solo d’amore, ma anche e SOPRATTUTTO di matematica, fisica, cosmologia, di studio ed impegno continui. E allora perché incentrare il tutto SOLO ed UNICAMENTE sulla sua vita sentimentale, lasciando che "il genio" faccia solo da contorno ? Stephen Hawking non è “il geniaccio gravemente malato che si fa accudire dalla moglie innamorata”, Hawking è la prova tangibile di come sia possibile raggiungere i propri obiettivi e realizzare i propri sogni, nonostante il destino ci riservi mille avversità e faccia di tutto per impedirci di lottare.
Concludendo : il mio è, come dico sempre, un semplice e superfluo parere personale, quello che scrivo non è legge, semplicemente metto nero su bianco quelle che sono le mie impressioni ogni volta che finisco di guardare un film, che mi sia piaciuto o meno.
Non consiglio affatto la visione di “La teoria del tutto”, a meno che non si voglia imparare qualcosa godendo della magistrale interpretazione di Eddie Redmayne, per il quale pretendo un Oscar di dimensioni apocalittiche, ma se proprio volete guardarlo, io vi consiglio la versione in lingua originale. Buona visione :-)



sabato 17 gennaio 2015

L'AMORE BUGIARDO - INASPETTATO CAPOLAVORO


Una recensione al giorno leva il medico di torno!

Questa volta mi sono cimentata nella recensione di un film che per un po' ho scartato, convinta si trattasse della solita ennesima americanata che finisce sempre con lei che sta per partire e lui che, in mezzo al traffico, scende dal taxi e corre in aeroporto a piedi per fermarla e dirle che la ama. Ecco, il titolo mi diceva esattamente questo, ma devo ammettere che sono stata davvero superficiale nel condannare in questo modo quello che invece si è rivelato uno dei migliori film dell'anno 2014: sto parlando di "L'amore bugiardo - Gone girl", che è tutt’altro che una commedia sentimentale, solo che non avevo ancora letto il nome del regista.
Insomma, ieri sera avevo voglia di poltrire sul divano davanti al televisore, così interrogando il mio fedele amico Google sono arrivata a quel tanto odiato titolo e mi sono detta che forse era giunto il momento di guardarlo. Mi sono anche messa a leggere i vari pareri di chi lo aveva già visto e, tra due o tre "bellixximoOoOoO!!111!!" mi sono anche imbattuta in qualche commento di natura "homo sapiens" e mi è sembrato di capire che valesse la pena di guardarlo.
Ecco allora che ho collegato il pc alla tivù, mi sono accomodata e, sgranocchiando qualche patatina in dolce compagnia, ho iniziato la visione di Gone Girl.
Il lungometraggio, del regista David Fincher (regista tra l’altro di alcuni tra i miei film preferiti, quali “Fight Club”, “Uomini che odiano le donne” ed “Il curioso caso di Benjamin Button”) è ispirato al romanzo “L’amore Bugiardo” di  Gillian Flynn.
Nick è un giornalista sposato con Amy , che perde il suo lavoro e decide di trasferirsi con sua moglie da New York in una piccola cittadina nel Nord Carthage, in Missouri. Il nostro protagonista apre un bar sfruttando l'ultimo fondo fiduciario di sua moglie e lo gestisce insieme a sua sorella Margot.
Purtroppo il matrimonio inizia a prendere una brutta piega, tant’è che il giorno del loro quinto anniversario, Amy scompare lasciando in casa uno scenario che porta la polizia a sospettare che Nick abbia ucciso sua moglie.

Un inizio semplice, lineare, che ci mostra un Ben Affleck  all’apparenza un po' troppo-poco provato per uno che ha perso la tanto amata moglie e che per giunta è anche accusato del suo omicidio, sensazione che porta lo spettatore a sospettare che ci sia effettivamente qualcosa che non va in lui.
Il film è accompagnato costantemente dalla voce fuori campo di Amy che scrive su di un diario tutto quello che accade dal giorno in cui si sono conosciuti fino a poco prima di sparire nel nulla.
Man mano che la storia si evolve, si viene a conoscenza di fatti che stravolgeranno i pensieri dello spettatore: non solo l'uomo, in preda ad uno scatto d'ira, sembra averle dato uno spintone facendola cadere, ma ha anche un’amante da circa un anno e mezzo.
Ed ecco che partono i vari "pezzo di merda!" e si inizia a credere che sia stato proprio il marito stesso ad assassinare e/o far sparire Amy, soprattutto quando la polizia trova tracce di sangue, tantissimo sangue, per altro mal pulito, sul pavimento in corridoio.
Proprio quando lo spettatore si è fatto un'idea ben ferma di quello che può essere accaduto alla donna, che conclude il suo diario (trovato poi dalla polizia) scrivendo di aver paura di essere uccisa da suo marito, il regista ci sorprende con qualcosa di inaspettato: scopriamo infatti, sempre attraverso la voce fuori campo di lei, che è stata tutta una messinscena da parte della donna che voleva punire il marito per il tradimento subito. Niente (o quasi) di quello che Amy ha scritto sul diario risulta essere vero, e si scopre anche che per simulare il suo omicidio si è addirittura auto dissanguata per sporcare il pavimento che poi avrebbe ripulito alla meno peggio, come se un ipotetico assassino/rapitore avesse fretta di cancellare le prove.
A questo punto incredibilmente cambiano le carte in tavola e ci si rende conto che Amy è davvero una psicopatica pronta persino a fare arrestare il marito per un omicidio mai commesso.
Sono rimasta piacevolmente stupita dall’interpretazione dell’attrice Rosamund Pike.
Riesce a dare l’impressione di essere completamente fuori di testa e, con quel tocco di impressionante sagacia, riesce a dare al personaggio quella fermezza e quella serenità che “regalano” allo spettatore momenti di angoscia ed inquietudine, quasi di fastidio, mentre la si guarda progettare i suoi perfidi piani.
BTW, Amy, dopo essersi camuffata, fugge da Nord Carthage ed incontra una coppia di ragazzi  i quali la derubano di tutti i suoi risparmi e, lei, disperata e violata, telefona al suo ex fidanzato Desi, che tempo addietro aveva accusato di stalker raccontando a Nick di esserne stata perseguitata. I due si incontrano ed Amy finge di essere abbattuta, racconta anche a lui la storia dell’infedele marito che non faceva altro che massacrarla di botte, così l’uomo, che è chiaramente ancora innamorato di lei, la accoglie nella sua lussuosa casa e si offre di nasconderla.
Ma ad Amy sembra non andare più a genio né il malcapitato Desi, né questo doversi nascondere in continuazione e per chissà quanto tempo, così mette in atto un piano davvero diabolico: simula uno stupro da parte del povero Desi (curato nei minimi particolari, tant’è che inizia a masturbarsi con il collo di una bottiglia e si getta del vino rosso fra le gambe, per poi accasciarsi sul pavimento, sotto una telecamera di sorveglianza, facendo finta di essere in preda alla disperazione) e poi lo uccide durante un rapporto sessuale tagliandogli la gola con un taglierino.
Inutile dirvi che la mia faccia era a metà fra lo schockato ed il nauseato, non facevo che ripetere al mio compagno quanto “quella” fosse completamente psicolabile.
E fu così che Amy, sotto gli occhi increduli di Nick, gli si presenta davanti casa e torna a vivere con lui che per settimane e settimane la tratta con assoluta indifferenza, non sapendo bene cosa fare. Voglio dire, sarei preoccupato anche io a convivere con una dissociata schizoide omicida, con evidenti problemi di falso vittimismo cronico.
Nel frattempo i due fingono davanti alle telecamere che avevano seguito tutta la vicenda per filo e per segno, fingono che la situazione sia tranquilla, fanno finta di amarsi e rispettarsi ed annunciano addirittura l’arrivo di un figlio di cui Nick non sapeva praticamente nulla, visto che Amy lo aveva concepito tramite l’acquisto del seme del marito presso una clinica.
Insomma, il film finisce così, con l’immagine del viso di Amy poggiato sul petto di un Nick che rimarrà purtroppo prigioniero di una vita coniugale al limite del tragico.
Leggendo i vari commenti sotto lo streaming del film, mi sono accorta che quasi tutti non hanno apprezzato il finale, secondo alcuni troppo sbrigativo o semplicemente incompleto. A me è piaciuto, anche perché è praticamente il finale del libro al quale il regista si è ispirato,  quindi perché stravolgere le cose e dare ad un bel film uno scontatissimo lieto fine? Io lo preferisco così.
Gone Girl mostra quanto sia maledettamente possibile pensare di conoscere a fondo la persona con cui si condivide la propria vita, per poi accorgersi di non conoscerla affatto.  E’ un thriller ben organizzato, anticonvezionale (come tutti i lavori di Fincher del resto), fluido e ricco di colpi di scena che altro non fanno che alimentare la curiosità dello spettatore che viene ben presto conquistato non solo dal fascino della bella Pike, ma anche e soprattutto dal ritmo turbinoso del film.
Questo è l’ennesimo thriller ben riuscito del regista Fincher, che altro non fa che sfornare prodotti assolutamente unici.
Il film non mette in risalto solo ed unicamente la follia di Amy, ma anche e soprattutto:


- La potenza dei media, che in questo caso vengono usati per indirizzare odio e benevolenza nei confronti dei protagonisti
- La frustrazione di un uomo che dopo aver perso il lavoro, la dignità e la stabilità emotiva rimane da solo (presumibilmente per sempre, come si intende dal finale) con il suo finto matrimonio ed il suo “amore bugiardo”
- L’amore disinteressato tra fratelli che viene fuori ogni volta che Margot si fa in quattro per stare vicina al fratello sconfortato
-Il luogo comune della donna che viene sempre e comunque identificata come sesso debole in una realtà che troppo spesso vede vittime numerose donne di gravi abusi da parte di disgustosi uomini.

Concludendo: è certamente un film che lascia il cosiddetto amaro in bocca, a volte le scene ci mostrano situazioni al limite del surreale che però non ti portano mai a definirle “cazzate”, in quanto l’elegante e ponderata regia riesce a dare quel tocco di originalità tipica di ogni prodotto made by Fincher.

giovedì 15 gennaio 2015

NOAH - ONIRICAMENTE SPETTACOLARE





Premetto che Noah appartiene a quella categoria di film davvero difficili da recensire, ma siccome mi è molto piaciuto e sicuramente mi ha lasciato qualcosa, ho pensato di buttar giù un paio di parole in modo da convincere gli scettici a guardarlo.
Noah è un film del 2014 (scritto, diretto e prodotto da Darren Aronofsky) che vanta un cast davvero esemplare: protagonista Russell Crowe che interpreta il patriarca biblico Noè, seguito da una meravigliosa Jennifer Connelly che sicuramente ricorderete in "Requiem for a dream". Abbiamo poi una carinissima Emma Watson nei panni di Ila, la "trovatella" adottata da Noè e sua moglie..e poi abbiamo anche un piacevole Logan Lerman nei panni di Cam, secondogenito di Noè, che abbiamo già visto in "Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo" ed in "Fury".
92 minuti di applausi per l'immenso Anthony Hopkins che ha interpretato Matusalemme, mentre il primogenito di Noè, ovvero Sam, quello troppocarinoproprio (che in realtà si chiama Douglas John Booth) é, credo, quello meno famoso di tutti.
Il regista Aronfsky ha avuto non poche difficoltà ad adattare la sceneggiatura alla durata di un film (che per altro non dura esattamente quanto un battito di ciglia) poiché la storia di Noè nella Bibbia è abbastanza breve e cita solo le vicende fondamentali e senza neppure accennare ai nomi dei diversi personaggi della famiglia di Noè, per cui ha praticamente dovuto colmare dei buchi narrativi infiniti per creare una storia che si adeguasse ad un lungometraggio completo e che fosse scorrevole. Il risultato è senza dubbio una storia assolutamente credibile, gradevole ed interessante, priva di ogni alterazione esagerata.Ho ascoltato diversi pareri negativi su Noah, a molti non è piaciuta questa ostentazione del fantasy, questo stravolgimento eccedente della storia biblica..ma a me è piaciuto proprio per questo motivo. Probabilmente il regista ha spezzato quel tradizionalismo tipico della storia di Noè così come ci viene raccontata nella Bibbia, esplicando un lavoro di grande spessore cinematografico, che ovviamente può anche non piacere a seconda dei gusti dello spettatore, ma è anche vero che ogni regista ha il suo modo di raccontare una storia ed ha il diritto di non attenersi del tutto all’autenticità della stessa.
All'inizio del film, una breve presentazione racconta pressappoco quello che accadde in principio con Adamo ed Eva, per poi passare all'effettivo inizio del film che, in tutta sincerità, non avevo ben compreso. Non riuscivo proprio a capire il senso di quello che stava accadendo, né chi fossero quei "giganti di pietra" che tutti chiamavano "vigilanti", ma siccome non mi dispiacevano affatto non mi sono preoccupata più di tanto, almeno inizialmente.
Ma proprio quando ero in preda ad un attacco isterico e stavo per tornare indietro di qualche minuto per vedere se m'ero persa qualcosa, ecco che la spiegazione è arrivata, come un fulmine a ciel sereno. E da li mi sono incollata allo schermo e mi sono lasciata trasportare dal fascino di questo ottimo lungometraggio.
Quindi, se volete guardarlo, non vi stupite se all'inizio non capirete praticamente nulla e vi sembrerà di guardare Fantaghirò, a tempo debito riuscirete a comprendere di cosa si tratta.
'Sto film è di un bello spaziale: le scene sempre molto profonde, gli scenari mozzafiato (per altro riprese quasi interamente girate in Islanda, quindi vi lascio immaginare lo splendore dei paesaggi), gli effetti speciali da panico ed ovviamente gli attori da Oscar IMMEDIATO. 
A me Russel Crowe m’ha sempre fatto partire l’applauso compulsivo, è uno degli attori migliori in circolazione.
Una domanda però mi tartassava il cervello e mi impediva di concentrarmi a fondo nella visione del film: perché diavolo la voce del doppiatore di Russel Crowe non è quella di Luca Ward? Non per sminuire Fabrizio Pucci che ha una voce assolutamente meravigliosa ed ha svolto davvero un gran lavoro, ma io volevo il mio adorato Luca Ward, che tra l’altro è il doppiatore ufficiale di Crowe. Un po’ incazzata e delusa, mi sono armata di pazienza e sono andata alla ricerca di qualche informazione utile a riguardo, anche perché, se visionate il trailer del film, vi accorgerete che la voce del protagonista è quella di Ward. E allora perché mai c’è stato questo cambiamento? Ho scoperto, tramite il mio amico Google, che Luca Ward, tempo addietro, ha pubblicato sul suo profilo facebook questo post: «Salve a tutti! Non sarò la voce di Russell Crowe nel film Noah. La decisione non è mia o di Russell. Ho voluto comunicarvelo perché forse aspettavate questo doppiaggio, dopo i trailer già da me doppiati e perché credo nel profondo rispetto verso il pubblico. Grazie a tutti, Forza e Onore!».
 Non dice però il motivo di questo cambiamento, ma vista l’evidente prostrazione che traspare dalle sue parole, ho continuato a cercare ed ho così preso atto che si è trattato di precisa volontà della Paramount Usa.
Queste le testuali parole della Universal Pictures Italy:
«Il doppiaggio del film Noah, come per tutti i film Paramount, è stato seguito direttamente da Paramount a Los Angeles».
Quindi, a quanto pare, il doppiaggio in questo caso è un’operazione eseguita direttamente dalla casa madre.
Eeeeeeeeeh vabbè, “accontentiamoci” di Fabrizio Pucci, ma che delusione non potersi godere la voce celestiale di Ward, soprattutto dopo essersi illusi durante la visione del trailer!
Ma torniamo a noi:
Ho già detto che Noah è onirico, almeno per quanto possa valere il mio personale giudizio, ma certamente non è uno di quei film che ti vien voglia di riguardare appena finisce, perché è un film impegnativo, bello ma impegnativo, così come lo è Troy. E’ un film la cui trama si svolge molto lentamente. Nessuno mi fraintenda, non è un difetto, almeno secondo me, semplicemente NON è un film passatempo da guardare se vuoi passare una seratina a cazzeggio con gli amici, no. Noah va guardato in silenzio, in pace, da soli o al massimo in coppia. Se avete voglia di un filmetto passatempo da guardare tra pop corn e cocacola, potete sempre affidarvi ad “Harry ti presento Sally”, ma se guardate Noah dovete assolutamente attivare il cervello e godervelo a pieno, senza interruzioni, al massimo sorseggiando una tisana al finocchietto ed a luci RIGOROSAMENTE spente. 
Che altro devo dirvi? Non voglio spoilerare niente: guardatelo, emozionatevi, impressionatevi e poi tirate le vostre conclusioni, io posso dire di essere pienamente soddisfatta e che è sicuramente uno dei prodotti cinematografici migliori del 2014.



lunedì 12 gennaio 2015

BREAKING BAD - IL MEGLIO DEL MEGLIO


Chi ha detto che devo sempre e per forza recensire in negativo? Dopo una full immersion di tre settimane, ho finito di guardare Breaking Bad, sotto consiglio del mio amato fidanzato che altro non ha fatto, nell’ultimo anno, che dirmi di guardarlo, in maniera insistente.. così ho dovuto (o voluto, fate voi) cedere.
Che dire? Un telefilm che non annoia mai, davvero.
Non ti fa perdere attenzione, ti tiene incollato allo schermo e diventa quasi una DROGA: sarà una coincidenza? :-D
Il personaggio di Walter mi ha davvero stupita: dalla prima all’ultima stagione ha fatto un cambiamento che mi ha messo i brividi! L’episodio pilota ci aveva mostrato le immagini di un uomo buono, sommerso da mille problemi, un uomo tormentato la cui vita veniva sconvolta alla notizia di una terribile malattia, un uomo umile il cui unico scopo era quello di proteggere la sua famiglia e di aiutarla ad uscire da un brutto periodo di crisi economica.
Ma con il passare del tempo, il buonsenso e l’umiltà lasciano spazio ad un
Walter spietato ed egoista, smanioso di potere e sadico all’ennesima potenza: uno spaventoso mix di elementi che rendono il personaggio un vero e proprio criminale pronto a fare qualunque cosa per ricavare più denaro possibile.
Il nostro Walter si ritrova ormai scaraventato in un circolo vizioso dal quale è praticamente impossibile uscire: un turbine di eventi ingestibili lo porteranno quindi ad agire in maniera subdola soprattutto nei confronti dei suoi cari.
Ma è davvero così che funziona nella realtà? 


Se anche l’uomo migliore al mondo si trovasse in una situazione del genere, il suo “io” cambierebbe a tal punto da mutarlo in un essere spregevole e disonesto come Walter White? La risposta è sì. Ed è per questo che Breaking Bad si rivela un prodotto di straordinarioimpatto, perché quello che ci ha mostrato altro non è che un uomo insicuro ed instabile che cade nell’oblio e non ha più la forza di tornare indietro. Breaking Bad ci dimostra quanto davvero siano grandi le nostre debolezze e cosa possiamo davvero arrivare a fare per raggiungere i nostri obbiettivi.
Il desiderio iniziale di Walter White era innegabilmente quello di aiutare la sua famiglia e di dar loro delle certezze, ma l’avarizia ha preso il sopravvento sulla sua  personalità estremamente fragile, così come accade nella realtà.
Quindi, che cos’è Breaking Bad?
Breaking Bad è più di una serie, Breaking Bad è quello che abbiamo sempre desiderato vedere e che non abbiamo mai osato aspettarci.
Inutile ripetere ancora una volta quando questo telefilm sia davvero bello, ma non se ne può fare a meno. Confesso il mio scetticismo durante le prime due o tre puntate, non amo particolarmente questo genere di tematiche, ma dopo aver visionato la prima stagione, questo piccolo grande capolavoro è per me diventato necessario come l’ossigeno.
Lo trovo quasi perfetto, sceneggiatura fantastica, regia meravigliosa, cura dei dettagli impeccabile, attori superbi, storia assolutamente verosimile e che non cade mai nella banalità spesso presente nella gran parte dei telefilm americani.
L’unico problema è che dopo averlo guardato ti vien voglia di metterti a cucinare e spacciare metanfetamine per nuotare nelle banconote e cagare su cessi di diamanti: ma ti passa subito quando pensi che, effettivamente, il gioco non vale la candela..e questo Walter l’ha capito, anche se troppo tardi.
Vi dico pure che mi ha fatto piangere e non poco, gli attori, scusate se mi ripeto, sono assolutamente MERAVIGLIOSI, è come se ti facessero provare in prima persona ogni genere di sentimento, positivo o negativo che sia. Il mio personaggio preferito è senza ombra di dubbio il protagonista principale, seguito dal giovane e tormentato Pinkman e dal geniale Saul Goodman, avvocato dalle mille risorse, corrotto che più corrotto non si può.
Non credo di avere molto altro da dire, ci ho messo praticamente una vita a scrivere questa recensione e, probabilmente, è l’unica completamente positiva che abbia mai scritto :-/
Ora non ci resta che attendere lo spin off dedicato al nostro super avvocato, sperando che sia all’altezza di Breaking Bad. Voi che ne dite?